La ripresa si sta sgonfiando?

03/05/2018Mercato

Il numero di famiglie che ha fiducia nel proprio futuro continua ad essere superiore a quello che invece “vede nero”, anche se è dall’estate del 2015 che lo scarto tra i due diminuisce. La dinamica è la stessa se si chiede alle famiglie una autovalutazione sulla propria capacità di spesa: è vero che nel 2013 quasi il 70% delle famiglie la considerava in calo mentre nel marzo scorso questa percentuale è scesa al 15%, ma quest’ultima è comunque in crescita rispetto alla fine del rispetto alla fine del 2016, quando era all’11%. Se l’epoca della crisi è certamente passata, sembra oggi di assistere ad uno “sgonfiamento” della ripresa, per colpa di una dinamica economica fragile, percepita anche dai cittadini, che peraltro attribuiscono alle spese obbligate la principale origine dei vincoli al proprio consumo. E’ quanto emerge dall’Outlook Italia Censis-Confcommercio 2018 “Speranze, timori, rancori: la ripresa difficile”, presentato nei giorni scorsi. Dalla ricerca emerge anche che il 17,3% delle famiglie ha ridotto i consumi per mettere da parte soldi per eventuali imprevisti (era il 12,6% a dicembre 2016), mentre il 54%, se avesse più reddito, lo destinerebbe al risparmio (47,6% a dicembre 2016). Ma da dove viene questa incertezza? Dal fatto che non si è ancora tornati ai numeri pre-crisi e, quindi, dalla lentezza della ripresa. Il responsabile dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, lo ha sottolineato con i numeri: tra il 2007 e il 2018 ogni italiano ha perso, a parità di potere d’acquisto, 1.000 euro di consumi, quasi 2.000 euro di reddito disponibile e circa 20mila euro di ricchezza complessiva. Nello stesso tempo, ed è emblematico della diffidenza di cui si parlava, tra contanti e conti correnti non vincolati, gli italiani hanno oggi circa 2.500 euro a testa in più. Detto che per il 37,5% degli intervistati la principale criticità che affligge l’Italia nello scenario mondiale è la corruzione diffusa, il più grave problema del nostro Paese è giudicato la mancanza di lavoro (29,1%). Nell’elenco, con il 13,3%, troviamo l’eccessivo prelievo fiscale, ed è significativo notare come – all’interno di questo aggregato – il 55,7% del campione ritenga della massima urgenza evitare l’aumento IVA, contro il 31,7% che parla di riduzione dell’Irpef. Passando ai problemi vissuti come ingiustizie sociali, si deve tornare a parlare di lavoro, visto che il 37% indica come maggiore ingiustizia l’impossibilità di avere un buon lavoro, oggi garantito solo a chi ha le conoscenze “giuste”. Non a caso, se si va a guardare il complesso di ore effettivamente lavorate nel sistema economico, nel 2017 sono state il 6% in meno rispetto al 2007, una riduzione simile a quella del Pil reale.

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